Una passeggiata in Sardegna
Stamattina mi alzo con una voglia, quella di trovare una Sardegna che avevo impresso nella mia mente, che fino adesso non ho trovato, fatta di persone che vivono la loro piccola realtà, e non paesi finti e abbelliti per l’occasione. Mi dirigo verso Bosa, c’è un vento che ti taglia la faccia, prendo una statale e passo per diversi paesi. All’ingresso dei paesi c’è un bel cartello “Benvenuti nel centro abitato”, ma dopo solo cento metri mi rendo conto che un centro disabitato, dei cimiteri a cielo aperto, non esistono vecchi e bambini, solo persone di mezza età che vivono nell’incertezza. Persino il paesaggio è incerto, arbusti bassi e macchie di terra grigia e qualche albero dalla punta piegata dal vento. Sono quasi arrivato a Bosa è già inizio a vedere un po’ di vita, ci sono i vecchi davanti alle porte.Faccio un paio di chilometri e arrivo al paese. C’è una porta spalancata, ci sono le gambe di un uomo, vedo solo quelle, è praticamente dentro una vecchia macchina d’epoca che sta restaurando. Adesso sento cantare napoletano da una casetta, mi affaccio e vedo un muratore che stucca un muro, mentre la proprietaria, una donna distinta tedesca era seduta davanti la porta e mi guarda con un certo imbarazzo. Salgo ancora c’è una signora seduta sul gradino di casa sua con gli occhi chiusi e il capo chinato, stava dicendo il rosario, vestita tutta di nero e solo un panno allacciato in vita, di pizzo bianco, capelli raccolti da una retina e oro alle orecchie.
Ci sono signore vestite di nero da anni per qualche lutto in famiglia. Parliamo e mi fa vedere che nella porta accanto c’è una piccola chiesa, mi propongo di aprire la porta ma la signora con tono deciso mi blocca, era pitturata fresca da suo figlio, custode della chiesetta. Quindi apre lei la porta e mi racconta che la domenica successiva avrebbero portato la madonnina giù nella chiesa madre per celebrare la festa. Lei era molto entusiasta perché il vescovo nuovo aveva aperto tutte le chiese della zona, compresa quella di fianco casa sua.
Finalmente ho trovato della vita in un paese sardo e ho come la sensazione che più salgo i gradini di questo paese più c’è da scoprire. Quindi continuo la salita e vedo in un vicolo un signore che stava scolpendo una pietra e la facciata di casa sua era piena di maschere tipiche sarde. Parlo con lui di vecchie tradizioni e mi racconta che quando era ragazzino sua madre prima di finire il tetto di casa buttò soldi e un pezzo di corna di cervo, e lui piangeva perché vedeva la madre che urlava frasi disperate e di speranza mentre faceva quel gesto.
Dopo circa dieci minuti si affaccia il fratello dalla finestra e mi racconta che anche lui scolpisce, ma non pietra, ossa di animali. Decide di regalarmi un pezzo di corna di cervo, entra in casa prende le corna, le posiziona in una morsa e inizia a segare un pezzetto, dicendomi che è un antica tradizione locale e che mi avrebbe portato fortuna. Bosa è un paese dalle case e dalle persone colorate. Gli altri paesi, qui in Sardegna, hanno dovuto dipingere i vecchi sui muri per colmare quel vuoto.